I primi europei a mettere piede sull’isola di Bali furono alcuni marinai olandesi sbarcati nel 1597. Come le folli di occidentali che li avrebbero seguiti alcuni secoli dopo, i marinai si innamorarono dell’isola e, quando il comandante della nave Cornelius de Houtman si accinse a salpare, alcuni di loro si rifiutarono di partire.
La
dolcezza dei paesaggi e degli abitanti non bastano a spiegare
perchè l’approdo a questa isola diviene per tanti
un’esperienza che supera quella del viaggio in se.
Bali
è l’isola dell’armonia,
poetica e dolce, dove Dio è tutto e ovunque, in un
cocktail di religione e magia, con qualche goccia di superstizione.
Per scoprire Bali in tutta la sua ricchezza bisogna spingersi
nell’interno, fra risaie a terrazzo
e palmeti, dove i templi sono oasi di silenzio.
Oppure raggiungere Ulu Watu, punta della penisola di Bukit, dove sorge il tempio dedicato agli dei del mare, abbarbicato a precipizio su altissime scogliere. Le acque sottostanti sono sacre ai cultori del surf, che hanno fatto della ricerca dell’onda una religione invocando Daewi Danu, la dea protettrice del mare.
A Bali il sacro e il profano si contrappone ai ritmi della danza locale. Sull’isola i templi sono più delle abitazioni. Ogni casa riserva a uso sacro parte del terreno intorno ad ogni villaggio, e secondo un editto dell’XI secolo deve possedere almeno tre templi. Il primo, rivolto verso le montagne, è per i fondatori del villaggio. Un altro, al centro, è per gli spiriti della prosperità. Il terzo guarda verso il mare ed è dedicato ai morti. I templi più noti, quali Pura Tanah Lot, Pura Taman Ayun, Pura Mas Suka, Pura Gunung Kawi sono proprietà comune di tutta Bali.
Non è raro neppure assistere a balli e danze che si esprimono in forme antiche di secoli. Baris, la danza dei guerrieri, richiede costumi elaboratissimi. Barong mette in scena l’eterna lotta tra il bene (Barong) e il male (Rangda).
Il
segreto per scoprire questa fantastica isola è unirsi
ai balinesi, al loro modo di intendere ed equilibrare nell’intimo
il sistema degli opposti che pervade la loro visione del mondo:
dei e demoni, vita e morte, passato e presente. È bello
girovagare per Bali alla ricerca di questo equilibrio. Se
la si attraversa da sud a nord lungo la strada che passa per
villaggi di campagna si incontrano moltissimi
negozietti di artigiani e centri d’arte, di mercati
di frutta dai molteplici colori accesi, di piccoli
tempietti con le offerte lasciate dai balinesi accanto
agli altari. Ovunque si notano grandi sorrisi di giovani e
meno giovani, persone con i loro costumi tradizionali che
lungo la strada ti salutano. Questa è la spiritualità
che costituisce una parte essenziale della cultura locale.
Bisogna salire tra le foreste attorno al cratere Bratan,
coperto da un lago le cui acque sono benedette dal tempio
di Pura Ulan Danu Batur a Kintamani, e dai
caratteristici santuari a tetti sovrapposti situati in isolette
coperte da bambù per incontrare lungo il percorso le
verdi geometrie delle coltivazioni di riso a terrazza.
Prima di lasciare questa bella isola non potevo fare altro che condividere il mio “addio” alla loro cultura dell’offerta. Un’offerta costituita da cibo fresco disposto su una foglia di palma e decorato con un’altra foglia di palma, chiamata sampian, che contiene betel e fiori.
Un piccolo gesto lasciato nel tempietto costruito accanto alla sala imbarchi dell’aereoporto sperando di ritornare in quella terra molto presto. Un gesto che fu apprezzato dalle loro divinita’ tanto da farmi ritornare a casa con un lungo ma tranquillo volo.
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Incantevoli danzatrici durante una rappresentazione |
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Parte del tempio
di Pura Taman presso Mengwi |
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Fernanda
e il ''suo'' caspo
di banane |
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Una delle tante strade che attraversa villaggi rurali |
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Tempio circondato da fareste e palmeti sulle pendici del Ganung Batukau
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