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P I A D I N A   R O M A G N O L A

- Sintesi di farina e macine ad acqua -

(inizio giugno)

 

L’estate è imminente, almeno sul calendario. Giorni di pioggia e ventosi si susseguono ad offuscate e afose giornate. E’ la campagna a trarne i migliori benefici: verdeggianti colline ricoperte da frutteti si alternano a dorati appezzamenti di terreno dove il grano la fa da padrone.

Ed è proprio partendo da questa pianta erbacea, originaria del Medio Oriente, che vorrei arrivare alla nostra tradizionalissima “piadina romagnola”, cibo cult della Romagna. Analizzando da vicino il grano si notano le lunghe foglie percorse da nervature parallele alla cui estremità si vede una bellissima, affusolata e luminosa spiga.

Mi ricordo che i momenti più belli che il grano mi faceva vivere erano la semina e la raccolta. Veniva seminato a “spaglio”: il contadino affondando nella terra arata prendeva da un sacco di sementi appeso alla cintura pugni di semi che gettava a ventaglio attorno a sé. In un secondo tempo venne utilizzata la “seminatrice”, un rudimentale ma efficace attrezzo agricolo che lasciava “scivolare” con dolcezza ogni chicco di grano sul terreno. Ciò dava origine, durante la crescita, ad un mosaico di diverse tonalità di verde dovuto a zone più o meno fitte di piantine.

La raccolta era eseguita a mano con il falcetto facendo dei mannelli raccolti poi in grossi mazzi, i covoni, che poi venivano portati sull’aia dove una ottocentesca macchina a vapore, la macchina da battere, di solito color ocra dalla ruggine che ricopriva gran parte della struttura ferrosa, selezionava il grano dalla paglia, dalla pula e dal chicco mediante diversi vagli posti asimmetricamente all’interno del macchinario.

Oggi tutto ciò non esiste più: la semina avviene con avveniristici macchinari meccanici che al compimento del lavoro rendono l’appezzamento di terreno una distesa dove l’occhio non riesce a trovare difetto: ogni singola fila è parallela a tutte le altre e le piantine ben distanziate. Alla raccolta pensano macchine tecnologicamente avanzate che in poco tempo rendono una dorata piantagione di grano in un brullo e surreale terreno dove merli, cornacchie ed altri uccelli trovano il cibo rovistando tra le stoppie.

Ed è proprio il grano l’ingrediente chiave della Piadina, sintesi elementare di farina, acqua o latte, strutto, sale e bicarbonato. Veniva cotta anticamente su una piastra di pietra refrattaria posta sulle braci ardenti che poi ha ceduto il posto all’attuale “testo” di derivazione dalla locale “tegia”, piastra tonda e piatta. Il sapore neutro valorizza ogni tipologia di gusto, ma trova il miglior compimento con affettati e formaggi freschi, in particolare con squaqquerone e rucola. Svariate sono le qualità di piadine che oggi troviamo nei numerosissimi chioschi, ma la differenza maggiore che possiamo osservare ad occhio sono le dimensioni e lo spessore: man mano che si procede verso l’entroterra diventa più grossa e piccola.

Ma a chi dobbiamo rendere grazie per questo prodotto? Bisogna ricordare la manualità delle tante massaie che hanno tramandato nel tempo questa specialità romagnola, la più classica e di vecchissima tradizione. Infine non bisogna dimenticare i diversi molini che con la loro opera di macina trasformavano la materia prima in una finissima e impalpabile polvere di un colore beige, mista di grano e crusca. Faenza, Riolo Terme, Castel Bolognese sono alcuni paesi dove i molini erano dislocati nelle vicine campagne a ridosso di corsi allora carichi di acqua corrente e pura. Il tempo e il continuo progresso li ha resi inutilizzati e, ancor peggio, abbandonati. E proprio sull’ immaginario confine tra questi borghi, costruito in un tempo lontano, il Molino Scodellino emerge dalla nebbia e ti lascia pensare che all’interno ancora vi operi un messer mugnaio. Il Molino Scodellino (o della Contessa), collocato a cavallo del Canale dei Molini, in territorio di Castel Bolognese, è l’ultimo esemplare ancora esistente della serie di molini sorti tra il XIV ed il XV sec. lungo il canale che da essi prende il nome. E’ costituito da un corpo a due piani che rivela l’impianto originario, caratterizzato da un portico basso con travoni di legno a vista e lesene a tutta altezza, e da un fabbricato più alto di epoca successiva (XVIII sec.) posto sull’altra sponda. Due macine in legno e la turbina di ferro si conservano ancora intatte sopra al voltone che scavalca il canale. Fu restaurato negli anni ’70 quando ancora era abitato da una famiglia di mugnai.

Vorrei terminare con lo scrivere la ricetta della Piadina Romagnola in modo da poter mettere in pratica la semplicità di questa ricetta.

Piadina    Romagnola


Ingredienti:

  • 1 Kg. di farina;
  • 200 gr. di strutto;
  • 4 cucchiai di olio d’oliva extravergine;
  • 1 cucchiaio scarso di sale;
  • lievito per 1 Kg.;
  • acqua tiepida o latte.

Procedimento:

Versate sulla spianatoia la farina, mettete al centro lo strutto e l’olio, impastate unendo l’acqua tiepida o il latte (in cui è stato precedentemente sciolto il sale) fino ad ottenere una pasta piuttosto morbida.

Lavoratela bene e lasciatela riposare un poco, quindi dividetela in tanti gnocchetti della grandezza di un limone, stendeteli in dischi dello spessore di non più di mezzo centimetro.

Fate arroventare la piastra, abbassate la fiamma ed iniziate la cottura dei dischi ottenuti, punzecchiandoli con la forchetta. Lasciateli cuocere bene, prima da un lato, poi dall’altro.

Mantenete le pizze calde con un tovagliolo per poi serviterle assieme a salumi, formaggi e vino rosso.

 
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